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Vacanze fuori rotta alla scoperta dell’altra isola
di Nino Sunseri
Cartolina da Mozia, e dalla saline nella Riserva dello Stagnone.
Secondo lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino, il cui talento è stato scoperto troppo tardi, l’etimologia (forse immaginata ma ugualmente suggestiva) del termine “insula” è molto semplice:
nasce dalla loro condizione geografica, essendo le isole circondate dal mare e quindi dal sale e da esso nutrite. E infatti dovunque ci si volga, in Sicilia il sale appare una forza, una condizione e un destino, economico, paesaggistico, ambientale.
Le vacanze fuori rotta conducono nella Sicilia Occidentale, lontano dalla mondanità di Taormina, fuori dal barocco di Noto, con qualche somiglianza solo con le lunghissime spiagge di sabbia finissima frequentate dal Commissario Montalbano. Un panorama assolutamente uniforme sul confine più meridionale dell’Europa dove i popoli del Mediterraneo si sono mescolati, incontrati e scontrati fin dalla notte dei tempi.
Siamo a Trapani che si muove a ritmo lento lungo quella striscia di terra che parte da Marsala, la città dei Mille, per unire il vino e il sale. Ecco le spiagge di San Teodoro e di San Giuliano, con acque celesti e sabbie fini vista Egadi. Per arrivarci, si costeggiano le Saline all’interno della Riserva Naturale dello Stagnone. Non semplicissime da raggiungere.
È facile perdersi anche utilizzando Google Maps. Forse il bagliore del sale sotto il sole della Sicilia confonde anche gli algoritmi californiani. Per arrivarci bisogna orientarsi seguendo la geografia. Tenendo il monte di Erice e il mare sulla destra come accadeva ai guerrieri (da Annibale ai marines del generale Patton) e ai mercanti come i fenici padroni del mare. Poi i greci delle grandi colonie di Selinunte e Segesta… Fino alla dinastia Florio, i Leoni di Sicilia, che in quelle zone aveva fatto germogliare una ricchezza che alla fine dell’800 non aveva rivali in Italia. Per arrivare alle Saline bisogna procedere sempre dritto, direzione Sud, tra una strada sterrata imboccata per errore e una deviazione sconosciuta al Gps. Tanto più che la connessione Internet, in diversi punti appare claudicante.
D’altronde ci stiamo addentrando in un mondo antico e immobile. Al centro c’è l’isola di Mozia tanto piccola di estensione (40 ettari) quanto carica di storia. Colonia fenicia nel VIII secolo a.C. e grande centro commerciale in mezzo al Mediterraneo. Conquistata e distrutta da Siracusa nel 400 a.C. Recuperata venticinque secoli dopo da Joseph Whitaker, esponente di una di quelle dinastie anglo-siciliane come Woodhouse e Ingham che avevano sviluppato la produzione di marsala. Dal 1802 il vino siciliano era entrato nel menu della Mediterranean Fleet attirando capitali britannici nella Sicilia Sud-Occidentale. La ricca colonia britannica nel 1860 avrebbe favorito lo sbarco di Garibaldi non a caso avvenuto nel porto di Marsala. A vigilare due cannoniere inglesi.
Nel 1902, Mozia visse il periodo di massimo splendore oltre due millenni dopo la sconfitta dei fenici. Joseph Whitaker decise di costruire qui la sua abitazione. Fu lui a portare alla luce numerosi reperti storici oggi conservati nel museo che porta il suo nome ed è ospitato in quella che era la sua casa. I fenici erano esperti artigiani per cui si possono ammirare ciotole, vetri, oggetti con ornamenti in metallo, ceramiche, armi, gioielli, monili ed anche oggetti sacri; ma il reperto più famoso è il Giovinetto di Mozia, una statua greca di marmo che viene definita anche “la statua del mistero” e che ritrae un’agile figura maschile. Venne trovata nel 1979, sotto un mucchio di argilla, probabilmente fatto per nasconderla.
Della gloriosa storia passata rimangono testimonianze importantissime: il famoso cothon, raro esempio di bacino di ormeggio punico; la strada sommersa, pure punica, utilizzata fino agli anni ´60 dai contadini marsalesi che dalla terra ferma con dei carri raggiungevano l’isola per la vendemmia; il tophet, l’area sacra per i sacrifici umani, dove è ancora possibile vedere le urne cinerarie, la necropoli, i mosaici.
Intorno a Mozia, le saline con i mulini utilizzati per macinare il sale. Il preludio della perfezione. Un bianco sfacciato, prepotente e accecante. Il bianco che, combinandosi con i raggi del sole, forma un connubio potente. Impossibile resistere alla bellezza delle Saline di Trapani.
I mulini e le vasche del sale ricreano il paesaggio più incredibile di tutto il Mediterraneo. Vale la pena indugiare fino al tramonto, tra cumuli di cristalli bianchi messi a essiccare, mulini a vento e fenicotteri che passeggiano a riva. Il sole si riflette sulle distese candide, inondandole di rosa, rosso, arancio. Pura magia.
Cristalli di sale come ghiaccio. La meraviglia che si può godere solo al riparo degli occhiali da sole se i raggi sono ancora quelli di un pomeriggio caldo e assolato. Immergendosi in quella ricchezza, perché il sale c’è stato un tempo in cui valeva più dell’oro. Un prezzo alto com’è se non “salato”? “Siate il sale della Terra” si legge nel Vangelo. Non l’oro, non i diamanti. Il sale. Il bene più prezioso, l’oro bianco.
È scritto anche nelle fiabe. Quella in cui il re chiede alle figlie quanto bene gli vogliano. La terza risponde: “come un uomo adora il sale”. Il padre la caccia dal castello. E dopo tante peripezie si ritrova a un banchetto senza sale. Senza gusto, senza sapore. Finalmente capisce la profondità e la saggezza della risposta della figlia e le chiede perdono.
Ripercorrere la storia del sale ha un fascino senza tempo. Ritrovarne il gusto, quello vero, autentico, è un’esperienza quasi catartica. Ti accorgi che davvero è oro. Perché è frutto di un lavoro duro che si tramanda da secoli.
E perché luccica più dell’oro vero, più di un diamante, quando lo si ammira ammucchiato in quelle infinite distese bianche.
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