Un mare di idee per il tuo viaggio
Quei campi di fuoco amati e temibili
di Marco Molino
Le onde si spengono dolcemente tra le rocce di pietra lavica della costa. Approdando in questa dimensione primordiale, i coloni eubei scoprirono una terra feconda alimentata dai vulcani che ispirò l’arcaico nome di Campi Flegrei, dal greco “brucio”, “ardo”.
I Romani li seguirono qualche secolo più tardi, cercando l’estasi dell’otium nelle sontuose dimore nascoste tra i rami della macchia mediterranea che s’intrecciano nodosi fin dentro il mare.
La memoria di quelle remote civiltà pervade ancora l’ameno territorio ad occidente di Napoli.
Monumenti, templi, arene, ville marittime, strutture militari, acquedotti, necropoli: ventisei siti storici distribuiti su un lembo della Campania che diventa la grande capsula del tempo tutelata dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei, l’ente istituito nel 2016 per gestire questo straordinario patrimonio culturale immerso in un evocativo contesto paesaggistico. Qui il mito delle origini riecheggia in ogni pietra.
Le prime intense vibrazioni si avvertono nell’area archeologica di Cuma, la più antica colonia greca d’Italia, fondata nell’ottavo secolo avanti Cristo dagli intraprendenti euboici-calcidesi. I resti dell’acropoli, con i templi di Apollo e Giove circondati da lecci e querce, sono inondati dall’azzurro luminescente del Mar Tirreno. Un po’ di riposo per gli occhi lo troviamo soltanto rifugiandoci nell’Antro della Sibilla, dove però sentiamo strane voci. Proprio come accade nel sesto libro dell’Eneide all’eroe virgiliano che sbarca a Cuma per interrogare la misteriosa profetessa rintanata in questo celebre antro.
Poco importa se gli studiosi ora ci avvertono che la galleria scavata nel tufo era un semplice camminamento militare: le suggestioni dell’antica polis rimangono inalterate e noi accompagniamo volentieri Enea in cerca del defunto padre Anchise fino alle porte dell’Ade, sulle oscure acque del lago d’Averno, formatosi quattromila anni fa nel cratere di un vulcano spento.
Incantati dai richiami onirici, quasi non ci siamo accorti che gli avventurieri giunti dalle isole greche hanno lasciato il campo alle italiche genti calate dall’Urbe. Un passaggio di consegne già evidente quando tanti aristocratici di lingua latina edificarono le loro ville tra i promontori di Baia, inseguendo la serenità ormai smarrita nella capitale dell’impero. Uno di questi estesi complessi residenziali venne addirittura trasformato nel II secolo dopo Cristo in un hospitalia, grande struttura riservata allo svago e al riposo per gli ufficiali della potente flotta di Miseno. Piscine coperte che sfruttavano le benefiche acque sotterranee e i vapori bollenti per riscaldare le saune. Capricci di quella terra ardente che talvolta ha invece mutato il paesaggio in modo traumatico.
Lo verifichiamo nelle acque basse di Baia, che a causa del bradisismo hanno inghiottito le strutture del Portus Julius, i mosaici, le statue e gli ambienti di alcune ville patrizie del primo secolo avanti Cristo, tra cui quella di Pisone, protagonista del complotto (sventato) contro Nerone. Immergendosi con maschera e pinne, o a bordo del più confortevole semi-sommergibile messo a disposizione dai diving locali, si può ammirare il Ninfeo di Claudio circondato dalle spugne policrome, o un polpo che tenta di nascondersi tra due colonne di marmo.
Sommovimenti ciclici del suolo sono evidenti tra le maestose colonne del Tempio di Serapide a Pozzuoli.
La statua del dio egizio (oggi esposta al Mann di Napoli) fu rinvenuta a metà del Settecento, facendo supporre che si trattasse di un luogo di culto. E invece scavi recenti hanno accertato che questo era un mercato pubblico, il vivacissimo Macellum cittadino, dove ancora risuonano i richiami dei bottegai romani. Grazie al biglietto cumulativo proposto dal Parco archeologico per visitare almeno quattro siti dell’area, si possono “ascoltare” poco lontano anche le grida dei quarantamila tifosi che affollavano le gradinate dell’Anfiteatro Flavio, eretto nel primo secolo dopo Cristo. Per comprendere il motivo di tanta passione, dobbiamo aggirarci nei sotterranei dell’arena: da lì sotto venivano issate le gabbie con le belve pronte per combattere con i gladiatori.
I Romani li seguirono qualche secolo più tardi, cercando l’estasi dell’otium nelle sontuose dimore nascoste tra i rami della macchia mediterranea che s’intrecciano nodosi fin dentro il mare.
La memoria di quelle remote civiltà pervade ancora l’ameno territorio ad occidente di Napoli.
Monumenti, templi, arene, ville marittime, strutture militari, acquedotti, necropoli: ventisei siti storici distribuiti su un lembo della Campania che diventa la grande capsula del tempo tutelata dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei, l’ente istituito nel 2016 per gestire questo straordinario patrimonio culturale immerso in un evocativo contesto paesaggistico. Qui il mito delle origini riecheggia in ogni pietra.
Le prime intense vibrazioni si avvertono nell’area archeologica di Cuma, la più antica colonia greca d’Italia, fondata nell’ottavo secolo avanti Cristo dagli intraprendenti euboici-calcidesi. I resti dell’acropoli, con i templi di Apollo e Giove circondati da lecci e querce, sono inondati dall’azzurro luminescente del Mar Tirreno. Un po’ di riposo per gli occhi lo troviamo soltanto rifugiandoci nell’Antro della Sibilla, dove però sentiamo strane voci. Proprio come accade nel sesto libro dell’Eneide all’eroe virgiliano che sbarca a Cuma per interrogare la misteriosa profetessa rintanata in questo celebre antro.
Poco importa se gli studiosi ora ci avvertono che la galleria scavata nel tufo era un semplice camminamento militare: le suggestioni dell’antica polis rimangono inalterate e noi accompagniamo volentieri Enea in cerca del defunto padre Anchise fino alle porte dell’Ade, sulle oscure acque del lago d’Averno, formatosi quattromila anni fa nel cratere di un vulcano spento.
Incantati dai richiami onirici, quasi non ci siamo accorti che gli avventurieri giunti dalle isole greche hanno lasciato il campo alle italiche genti calate dall’Urbe. Un passaggio di consegne già evidente quando tanti aristocratici di lingua latina edificarono le loro ville tra i promontori di Baia, inseguendo la serenità ormai smarrita nella capitale dell’impero. Uno di questi estesi complessi residenziali venne addirittura trasformato nel II secolo dopo Cristo in un hospitalia, grande struttura riservata allo svago e al riposo per gli ufficiali della potente flotta di Miseno. Piscine coperte che sfruttavano le benefiche acque sotterranee e i vapori bollenti per riscaldare le saune. Capricci di quella terra ardente che talvolta ha invece mutato il paesaggio in modo traumatico.
Lo verifichiamo nelle acque basse di Baia, che a causa del bradisismo hanno inghiottito le strutture del Portus Julius, i mosaici, le statue e gli ambienti di alcune ville patrizie del primo secolo avanti Cristo, tra cui quella di Pisone, protagonista del complotto (sventato) contro Nerone. Immergendosi con maschera e pinne, o a bordo del più confortevole semi-sommergibile messo a disposizione dai diving locali, si può ammirare il Ninfeo di Claudio circondato dalle spugne policrome, o un polpo che tenta di nascondersi tra due colonne di marmo.
Sommovimenti ciclici del suolo sono evidenti tra le maestose colonne del Tempio di Serapide a Pozzuoli.
La statua del dio egizio (oggi esposta al Mann di Napoli) fu rinvenuta a metà del Settecento, facendo supporre che si trattasse di un luogo di culto. E invece scavi recenti hanno accertato che questo era un mercato pubblico, il vivacissimo Macellum cittadino, dove ancora risuonano i richiami dei bottegai romani. Grazie al biglietto cumulativo proposto dal Parco archeologico per visitare almeno quattro siti dell’area, si possono “ascoltare” poco lontano anche le grida dei quarantamila tifosi che affollavano le gradinate dell’Anfiteatro Flavio, eretto nel primo secolo dopo Cristo. Per comprendere il motivo di tanta passione, dobbiamo aggirarci nei sotterranei dell’arena: da lì sotto venivano issate le gabbie con le belve pronte per combattere con i gladiatori.
Un’epoca di gente dura, come i marinai che incontriamo con la fantasia passeggiando lungo la baia di Miseno dove potevano attraccare fino a 250 navi con equipaggi provenienti da ogni angolo dell’impero.
Per le loro necessità, furono convogliate su questi lidi le acque del Serino, che dopo aver attraversato Neapolis e Puteoli sulle arcate in laterizio o nei tunnel, si riversavano tra le maestose colonne della Piscina Mirabilis, cisterna grande come una cattedrale.
La sbornia dei secoli raggiunge l’apice visitando il castello di Baia costruito a picco sul mare nel 1493 dagli aragonesi. Gli spaziosi ambienti dell’attuale museo a stento riescono a contenere i reperti provenienti da tutta l’area flegrea: vasi decorati, epigrafi, sculture, bassorilievi, sarcofagi, monete, frammenti architettonici e oggetti di uso quotidiano che raccontano le fasi storiche del territorio. Quanta
vita tra quelle antiche pietre. E quanto abbiamo ancora da scoprire.
Per le loro necessità, furono convogliate su questi lidi le acque del Serino, che dopo aver attraversato Neapolis e Puteoli sulle arcate in laterizio o nei tunnel, si riversavano tra le maestose colonne della Piscina Mirabilis, cisterna grande come una cattedrale.
La sbornia dei secoli raggiunge l’apice visitando il castello di Baia costruito a picco sul mare nel 1493 dagli aragonesi. Gli spaziosi ambienti dell’attuale museo a stento riescono a contenere i reperti provenienti da tutta l’area flegrea: vasi decorati, epigrafi, sculture, bassorilievi, sarcofagi, monete, frammenti architettonici e oggetti di uso quotidiano che raccontano le fasi storiche del territorio. Quanta
vita tra quelle antiche pietre. E quanto abbiamo ancora da scoprire.
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PhotoCredits:
Antonio Busiello / Alamy Foto Stock