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Le scale di Napoli: percorsi dal mare alla collina
Ce ne sono più di 200 che vanno per lo più dal mare alla collina, tutte con scorci incantevoli, anche inusuali, su Napoli. Nelle canzoni di Edoardo Bennato è il «percorso della città obliqua» che affascina il turista.
di Marco Perillo
«Non è piana, non è verticale / è una linea che sale in collina / è una strada che parte dal mare / il percorso della città obliqua…». Cantava così nel 1987 Edoardo Bennato, celebre rocker napoletano che, rompendo i ponti con la tradizione musicale partenopea, ha dato vita a un genere tutto personale. Eppure le sue non sono solo canzonette, tanto per citare uno dei suoi componimenti più noti, ma spesso e volentieri profondi spunti di riflessione sulla società e sul mondo che ci circonda. Non di rado Bennato ha affrontato il tema della sua città, sottolineandone le bellezze e le contraddizioni. Sul finire degli anni ’80 scrisse “La città obliqua”, testo che raccontava la potenzialità delle scalinatelle napoletane, quelle affascinanti vie verticali che uniscono la zona marittima a quella collinare e viceversa. Scorci incantevoli, ascese colme di storia, dalle quali si è in grado di dominare il meglio del panorama cittadino e per le quali lo stesso Bennato, laureato in Architettura, si spese per un progetto grandioso, citato nella sua canzone. «Scale mobili sotto la luna / diagonali e passaggi segreti / un cammino che esiste da sempre / il tesoro della città antica…».
Proprio così: l’idea era affiancare agli antichi gradoni settecenteschi una serie di scale mobili che potessero collegare più velocemente un punto e l’altro della città. «L’intuizione fu di Michele Cennamo – racconta Bennato –, illustre e compianto professore in Scienza e tecnica delle costruzioni. Fu un colpo di genio: seguire la traiettoria delle ipotenuse per realizzare veri e propri tapis roulant che scavalcassero i tornanti del Corso Vittorio Emanuele. Un progetto più o meno simile a quello che fu realizzato in Cile, a Valparaiso, città sviluppata in altezza e che ha la stessa morfologia di Napoli. Purtroppo, però, il mancato rapporto tra la comunità e gli addetti ai lavori non consentì a questo progetto di andare in porto».
Sfumato il sogno, le scale napoletane restano con tutto il loro fascino atavico, decantato dai poeti ottocenteschi e immortalato da altrettanti pittori. Si stima che ve ne siano più di duecento, divise in 135 scale vere e proprie e 69 gradonate, a fendere le varie colline d
i cui è composta la città: Posillipo, Vomero, Camaldoli. Negli ultimi anni sono state piacevolmente riscoperte da una miriade di turisti amanti del trekking urbano, bramosi di scoprire gli angoli più reconditi e suggestivi di Napoli; di guardare la città da un’altra prospettiva.
Una delle scalinate più note è senz’altro la trecentesca Pedamentina di San Martino, che conduce dall’altura del Castel Sant’Elmo e dell’attigua certosa al centro storico. Nel silenzio e nella quiete, tra palazzine e villette tra un gradone e l’altro, si arriva dritti a Spaccanapoli. A riallacciarsi con la Pedamentina è lo scalone di Montesanto, forse il percorso pedonale più antico di Napoli, che immerge in quella che è una zona inesplorata e senza tempo, l’Olivella, con quel parco Ventaglieri dal quale è possibile ammirare uno dei panorami interni più belli e desueti della città della sirena.
Parallelamente a questo percorso, ma partendo dalle spalle di Castel Sant’Elmo, come non amare il tortuoso Petraio coi suoi casali, i suoi cortili che sanno di Spagna, i suoi balconi ricolmi di fiori che affacciano su Capri e sull’azzurro del mare? Da via Annibale Caccavello fino al Corso, sfiorando la vigna di San Martino, il percorso è tutta una poesia.
Di diversa natura, non meno intrigante, è l’itinerari
o della seicentesca salita Cacciottoli che da piazza Leonardo al Vomero taglia il tufo giallo passando sotto il ponte del Corso e proseguendo tra tipici bassi e chiesette abbandonate. Discorso simile a quello che riscontriamo nel rione Sanità, scoprendo l’accattivante salita Miradois che collega i due musei della zona, quello archeologico e di Capodimonte, o lasciandoci rapire dal celestiale Moiariello, quel “piccolo moggio” a due passi dalla reggia e dall’Osservatorio Astronomico: un posto, per la sua panoramicità, capace di togliere il fiato.
Per chi ha voglia di zigzagare un po’, di perdersi nei pensieri e di riconciliarsi con il tempo, cosa c’è di meglio delle scalette di Santa Maria Apparente o di via Vetriera che conducono, tra un vicolo all’altro, dal brulicare della parte alta e laterale dei Quartieri Spagnoli alle eleganti strade di Chiaia? E che dire dei percorsi posillipini, quelle rampe della Gaiola, quelle scalette di San Pietro ai Due Frati o quell’emozione tufacea di Salita Villanova che proiettano in una dimensione extra cittadina, dando l’impressione di essere in un paesino della Costiera?
«Sul tappeto che scende e che sale / emozioni ed immagini nuove / e nel sogno che sale e che scende / prospettive che cambiano lente / meccanismi che portano fuori / dal groviglio di auto e di idee / una strada che parte dal mare / e il futuro da immaginare…» cantava ancora Edoardo Bennato. Napoli in fondo è città di avventura, è una conquista continua, una metropoli millenaria e stratificata da scoprire preferibilmente a piedi. «La mia scalinatella del cuore? – svela il cantautore nato a Bagnoli – Forse proprio Calata San Francesco, sulla cui sommità c’era lo studio del professor Cennamo che per tanti anni ho frequentato». Si tratta di una deliziosa stradina gradinata che unisce via Belvedere e via Tasso, nata nella prima metà del XVIII secolo, come dimostra la mappa del duca di Noja. Qui, in quella che un tempo era una zona di campagna, sorse una chiesetta di scuola vanvitelliana, Santa Maria delle Grazie e Sant’Antonio da Padova. Un altro tesoro da riscoprire, un altro luogo di sospensione tra la collina e il mare. «Tutto scorre come in un sogno / e nel sogno mi fermo a guardare / il tramonto sulla linea inclinata / la magia della città incantata».