Un mare di idee per il tuo viaggio
Peppino, uomo di mare
… ma anche di barche: la prima a 13 anni. Il piccolo Giuseppe Faiella, in arte Di Capri, costruì un mini “Riva” di tre metri e mezzo. Poi, altre in un capannone che divenne presto studio d’incisione
di Federico Vacalebre
E se, alla vigilia degli ottant’anni, scoprissimo un altro Peppino Di Capri, un altro Giuseppe Faiella se preferite? Se all’uomo che andò in tour con i Beatles, al Buddy Holly isolano, al Chubby Checker della piazzetta più famosa d’Italia, all’anello di congiunzione tra Renato Carosone e Pino Daniele, al rinnovatore di cantaNapoli diventato un evergreen, al due volte vincitore del Festival di Sanremo, al trionfatore dell’ultimo Festival di Napoli, all’uomo di «Champagne» e di «Roberta», aggiungessimo un altro ritratto umano?
Proviamo così: di un Peppino uomo di mare, anzi di barche, accennano poche canzoni, come la sua versione di «Banana boat» che divenne «Pummarola boat» e aprì la strada del calypso nel Belpaese, come «Veliero» del 1979. Ma c’è anche la «varca a vela» che, «Vicino ‘a mare», salutava e se ne andava, in quella che resta agli annali come una delle sue primissime canzoni. In fondo, per un caprese doc come lui, uomo di mare lo era per nascita. Ma costruttore di barche? Disegnatore provetto, sino ad anticipare brevetti nautici lontani a venire?
Com’è iniziata questa passione, Peppe?
«Non lo so nemmeno io, ero un bambino piccolo assai, diciamo delle scuole medie e, appena c’era un minuto libero, a scuola nella pausa di ricreazione o nell’ora di religione, a casa quando non c’erano i compiti da fare, mi veniva spontaneo mettermi a disegnare barche e navi, gozzi e velieri, vele e transatlantici, lance e fantascientifici congegni marini».
Voglia di evadere dall’isola?
«Forse sì, per quanto appaia strano, nella mia famiglia non c’era nessuno che avesse o avesse avuto a che fare con il mare, a parte i traghetti e gli aliscafi necessari per arrivare sulla terra ferma».
Quei disegnini ben presto divennero altra cosa.
«Andai da una zingara che prediceva il futuro di fronte casa, prima chiesi a mia madre quanto si prendesse e lei mi spiegò che bisognava portarle dello zucchero o altre cose del genere, non accettava soldi. La pagai con 100 grammi di caffè, lei mi predisse che avrei fatto dei lunghi viaggi e che sarei dovuto stare attento all’automobile. Mi sembrò che mi stesse vaticinando un futuro in mare, forse, invece, parlava dei miei eterni tour».
Poi venne la prima barca.
«A quel punto avevo 13 anni e un modellino di motoscafo Riva che rifeci alla perfezione, ingrandendolo quanto più potevo: era lungo 70 centimetri, io arrivai a tre metri e mezzo, per farlo uscire da casa dovemmo calarlo dall’alto. Inventai un motore che poi ho visto brevettato decine di anni dopo, mentre io pensavo esistesse già: avrei potuto farci i soldi. La portammo a mare con dei facchini, la mettemmo in acqua, accesi e … volava. Era costruita con del compensato di faggio, leggerissimo, non pensato per resistere al mare, ma … velocissimo. Mi sentivo immortale, con il sole che nasceva dietro i Faraglioni, poi un raggio di luce mi accecò momentaneamente e finii a mare, con la barca che sfrecciava verso un due alberi in rada a Marina Piccola. Ero già pronto per l’impatto quando un’onda che non c’era, il mare era calmissimo, comparve dal nulla e la barca cominciò a ruotare su se stessa, permettendo il mio recupero e quello della mia creatura».
Ebbe vita lunga?
«Un paio d’anni, poi i materiali iniziarono a dar segno di cedimento, la lasciai in una caletta, dove un pittore me la chiese dicendo che l’avrebbe sistemata lui, non so che fine hanno fatto, né la barca né il pittore, speriamo bene».
Intanto, Giuseppe Faiella diventava Peppino Di Capri, ma non metteva da parte la nautica.
«Mai, anzi, appena avevo tempo disegnavo, studiavo, disegnavo, progettavo con uno sguardo avveniristico. E costruivo, non ci guadagnavo (i miei soci erano bravi a dividere ma non a investire), ma mi divertivo, anche se il commercio non era il mio mestiere. Una volta, senza saperlo, vendetti una barca a dei contrabbandieri, un’altra volta portai alla fiera di Napoli e quella di Genova una imbarcazione bellissima, ma troppo costosa: io avevo scelto solo i migliori materiali, ma per gli acquirenti era troppo cara. Ci persi una barca di soldi».
Nessun punto di contatto con il mestiere del cantante?
«Beh a un certo punto comprai un capannone per poter lavorare ai miei progetti quando volevo: dopo un poco divenne il mio studio di registrazione ed etichetta discografica personale».
La mitica Splash.
«Anche quello un riferimento marino, un bel tuffo. A un certo punto, però, ho smesso, mi distraeva dalla carriera, non mi divertiva più, così mi sono comprato una barca e me la sono goduta. Poi ho scoperto che la usavo al massimo una-due volte all’anno e l’ho venduta, ora quando ne ho voglia ne noleggio una e mi godo il mare, quella è una passione che non mi è mai passata».
Mai cantato su una nave?
«Un paio di volte. Una volta nel porto di Napoli, in occasione dell’inaugurazione di una grande nave da crociera ed un’altra davanti ad Atene, nel bel mezzo di una crociera».