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La pietra vivente di Siracusa
“A Siracusa la luce giunge dalla Grecia con una specie di fruscio celeste sull’acqua del mare”.
Così Giuseppe Antonio Borgese nel 1931 sulla città dello Ionio in cui arrivarono nell’VIII secolo a.C. i Corinti e Alfeo, il dio fiume, inseguendo la ninfa Aretusa grondante delle sue acque e ribelle al suo amore. La città dai quattro quartieri e di Santa Lucia, con Ortigia e con il più complesso patrimonio storico e culturale. Mito e storia a Siracusa si annodano nella felicità della luce, ora rosa ora dorata, sempre abbacinante quando si infrange o si specchia nella sua pietra, la giuggiulena, il nome dialettale della pietra arenaria bianca, la cui metamorfosi è l’arcobaleno di luce. Luce e pietra. Per esse vale ciò che Iosif Brodskij diceva dell’acqua di Venezia: incurabile bellezza. Città di contrasti, Siracusa ne ha uno inaspettato agli occhi del viaggiatore, non solo attento a camminare sulla sua materia ma pure pronto a godere dell’immateriale: il cuore di pietra, pietra che batte. Batte al ritmo del tirso di Dioniso, da quando Eschilo e il conte Tommaso Gargallo strinsero il tirso per portare nel più grande teatro di pietra d’Europa la tragedia e la commedia come le concepirono i Greci. Quel cuore è il Teatro Greco, al centro del Parco Archeologico della Neapolis, sovrastato e circondato dalla Grotta del Ninfeo, dall’Orecchio di Dionisio, dalle Grotte dei Cordari, dall’Ara di Ierone. Visionario e sfrontato, come lo ricordano le cronache, il conte Gargallo ha fondato prima l’Istituto Nazionale del Dramma Antico e poi avviato i cicli di rappresentazioni classiche che nel 2024 compiono 110 anni. “Agamennone”, la prima opera messa in scena, non poteva che essere di Eschilo, il tragediografo che venne a Siracusa nel 475 a.C. su invito del tiranno Ierone e vi portò la la festa dell’agone tragico, che continua, salvo le interruzioni per le guerre mondiali, fino a oggi, alla 59esima Stagione di Rappresentazioni Classiche. Si dice che Eschilo fu il “creatore della tragedia” nel senso che fece riscoprire ai Greci e ai Siracusani il senso di storie primitive e feroci, di uomini e dèi, storie capaci di trasmettere un messaggio etico. Oggi come allora.
Dal teatro di Siracusa sono passati i più grandi registi e attori italiani e internazionali: citarli tutti sarebbe lunghissimo. Una storia fatta di passione e di mestiere, di arte e artigianato. Da metà maggio ai primi di luglio Siracusa si veste di frenesia, di colori, di gioia, di cultura. Arrivano in teatro scolaresche da tutto il mondo, arrivano gli appassionati e i curiosi, ne riempiono i 15mila posti. Le ultime stagioni sono state un susseguirsi di sold out e di scommesse. L’ultima scommessa comincia nel 2018 quando il regista Roberto Andò affida a Emma Dante “Eracle” di Euripide aprendo a messinscene azzardate e poetiche in cui il rovesciamento e l’opera totale, ossia la commistione di linguaggi, diventano parola d’ordine. Poi dal 2019 al 2022 arriva Davide Livermore. Il regista torinese con “Elena” di Euripide e la trilogia di Eschilo “Orestea” rompe tutti gli argini: allaga la scena letteralmente (uno specchio d’acqua in cui nasconde sensori che diventano orchestra quando vi passa il piede dei corifei) e metaforicamente allaga anche i gradoni del teatro. Provoca uno shock nel pubblico nostalgico della severità classica ma inaugura una rivoluzione. Da Livermore non si torna indietro: cinema, musica classica, pop e rock, ledwall contaminano la scena. Dopo Livermore, la traduzione contemporanea di “Edipo re” di Robert Carsen crea lo spettacolo perfetto e Giuliano Peparini con il suo “Ulisse, l’ultima Odissea” mette un’ipoteca sul teatro come luogo della sperimentazione artistica, restituendo il teatro alla sua funzione: attraversare il tempo nello spazio. La stagione 2024 è pronta a sorprendere con Sofocle, Euripide e la commedia latina di Plauto.
Ora s’immagini il viaggiatore che arriva a Siracusa a metà maggio. Si provi a seguirne il passo da Ortigia fino alla Neapolis, lo si guardi attraversarne il cancello, immergersi nei profumi delle magnolie e dell’origano, entrare dentro il teatro greco un’ora prima del tramonto- così volevano i Greci-, prendere posto nella cavea e a sere alterne (due tragedie e una commedia) trovarsi davanti a scenografie monumentali. Il Teatro Greco ha un’acustica potente ma di più ha la magia degli occhi. Da ogni punto della cavea lo spettacolo può essere goduto appieno e non c’è punto della scena da cui gli attori non vedono uno a uno gli spettatori. Quando nel 2020, in piena pandemia, il fiuto dell’allora Sovrintendente Antonio Calbi rovesciò la prospettiva mettendo gli attori nella cavea e il pubblico nell’orchestra, lo spettatore si accorse quanta paura e stupore potesse provare un attore davanti a tanta grandezza. Il viaggiatore, prima di sedersi, può provare a mettersi ai bordi della scena e fingersi attore. Poi, con in bocca il sapore della magia, prendere posto e fare silenzio. Batte il tirso di Dioniso, lo spettacolo ha inizio…