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Fontane di Roma. Tra storia e leggenda
Sono 550 quelle classificate come artistiche e 45 come monumentali. Quella di Trevi, la più famosa, raccoglie grazie al getto delle monetine un tesoretto di circa un milione di euro l’anno destinato alla beneficenza
di Velia Iacovino
Roma ha un rapporto speciale con l’acqua che dagli albori della storia ha contribuito a renderla grande. Quella del Tevere, fiume legato alle sue mitiche origini, e quella delle sue ricche fonti e innumerevoli polle sotterranee. Un patrimonio che valorizzò con i suoi imponenti acquedotti e che nel corso del tempo celebrò attraverso spettacolari fontane. Sono 550 quelle classificate come artistiche e 45 come monumentali, definite tecnicamente mostre, poiché costruite nel punto terminale degli antichi acquedotti, oltre ai cinquemila e più caratteristici nasoni sparsi ovunque. Opere alcune di tale magnificenza da indurre nell’Ottocento il poeta inglese Percy Bysshe Shelley (1792 – 1822) a dire che le fontane bastavano a giustificare un viaggio a Roma. Raccontare i segreti di ciascuna o solo semplicemente delle più note è impresa ardua. Ma eccone qui alcune, scelte semplicemente in virtù dei curiosi record ad esse attributi.
La più famosa e visitata al mondo, ma quella i cui lavori furono anche i più lunghi e sofferti, con una durata di ben 120 anni, è senza dubbio la Fontana di Trevi, che si erge nel cuore del cuore della città, omaggio al dio Oceano con i suoi cavalli e Tritoni, alle trenta specie vegetali scolpite nei decori, ma soprattutto all’Acqua Vergine che da oltre venti secoli sgorga in abbondanza in quello stesso punto, grazie all’acquedotto che Augusto e Agrippa costruirono e che è in funzione dal 19 a.C. L’incarico di dirigere il cantiere fu affidato nel 1640 a Gian Lorenzo Bernini, poi fu costretto a lasciare. Subentrarono Nicola Salvi e Giovanni Battista Maini e infine Pietro Bracci, che terminò l’opera nel 1762. L’impareggiabile capolavoro barocco, spesso usato come set da grandi registi, tra cui Federico Fellini che lo immortalò nella Dolce Vita, grazie al lancio quotidiano delle monetine tanto amato dai turisti, tradizione non recente, ma inaugurata ben due secoli fa da un gruppo di visitatori tedeschi, rappresenta una piccola, sicura rendita per la città, un tesoretto da circa un milione di euro l’anno, che il Campidoglio destina a scopi benefici.
Incuneata sulla destra della Fontana di Trevi, c’è la Fontanella degli Innamorati, la più romantica, magica, trascurata e meno fotografata in assoluto di Roma. È una modesta vaschetta con due piccole cannelle a getto incrociato. Pochi conoscono lo straordinario potere che sempre le viene attribuito, ossia quello di assicurare amore eterno a chi vi si abbevera contemporaneamente. Provare per credere…
E se ci vollero centoventi anni per costruire la mostra dell’Acqua Vergine, sarebbe invece stata eretta in un solo giorno del finire del ‘500, anzi in poche ore, pari alla durata di una festa, almeno così si racconta, la Fontana delle Tartarughe, gioiello rinascimentale, posto all’ingresso del Ghetto ebraico. A imporre tempi da guinness, fu il duca Mattei. Voleva impressionare il futuro suocero restio a concedergli la mano della figlia e ci riuscì, regalandogli il privilegio unico di ammirare, attraverso una finestra poi rispettosamente murata, la visione di quel piccolo miracolo realizzato tra il tramonto e l’alba, dinanzi casa sua, sulla piazza che oggi porta il suo nome. La fontana, che in realtà, a voler smontare la leggenda, porta la data del 1581, quindi antecedente alla costruzione del palazzo di Mattei che è del 1616, è opera di Giacomo della Porta e Taddeo Landini. Quanto alle famose quattro tartarughe, vi furono collocate ai bordi un secolo dopo la costruzione e sono attribuite a Bernini e da alcuni ad Andrea Sacchi. Quelle che ammiriamo oggi sono riproduzioni degli originali, rubati, ritrovati (solo tre) e custoditi all’interno dei Musei Capitolini. Una copia identica della vasca di Mattei si trova dagli Anni Cinquanta all’interno di Huntington Park a San Francisco, in California, dono alla città di una ricca famiglia americana. Mentre a Roma ce n’è un’altra, ma non si tratta di un falso, che ad essa dichiaratamente è ispirata. È la Fontana delle Rane, costruita nel 1924 a piazza Mincio, il suggestivo slargo sul quale si affaccia il complesso dei fiabeschi edifici, incuneato nel quartiere Trieste, progettato dall’architetto Gino Coppedè.
Infine, come Trevi, altra indiscussa icona pop della Città Eterna, resa tale dal film da Oscar La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino e dalla canzone Roma Capoccia di Antonello Venditti, è il Fontanone del Gianicolo, mostra terminale dell’Acqua Paola, edificato tra il 1610 e il 1614 per volere di papa Paolo V. Se l’acqua, come si dice ha memoria, la sua ricorda ancora la battaglia per la difesa della Repubblica Romana del 1849, che nei suoi pressi si consumò e nella quale persero la vita giovani eroi risorgimentali tra cui Goffredo Mameli, autore del nostro inno nazionale. Tra i suoi primati vanta quello di aver alimentato dal 1901 agli anni ’30 la prima centrale idroelettrica di Roma e di contenere nella epigrafe un grossolano refuso nel far riferimento erroneamente all’acquedotto alsietino e non al proprio, quello di Traiano.
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