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Dalla Svizzera una “Guardia” a difesa del Papa
Sono poco più di cento in divise molto colorate che la leggenda fa risalire a Michelangelo prima e Raffaello poi. Nel “Sacco di Roma” per consentire al Santo Padre ed ai Cardinali una via di fuga morirono quasi tutti.
di Corrado Ruggeri
Arrivarono a piedi da Lugano. La sera del 22 gennaio 1506 un manipolo di 156 soldati entrò a Roma da Porta del Popolo, diretto verso la basilica di San Pietro per mettersi al servizio di papa Giulio II. Non era la prima volta che un pontefice utilizzava mercenari svizzeri per la propria sicurezza, ma si annunciavano tempi difficili e Giulio II voleva un contingente stabile a difesa del Vaticano. Da allora, e sono passati più di 5 secoli, le Guardie Svizzere continuano a giurare fedeltà «per la sacra custodia del vicario di Cristo». È per questo che si sono meritati il soprannome di “angeli custodi” del papa.
C’è chi dice siano l’Esercito più elegante del mondo, con quella fiammeggiante divisa a strisce gialle, rosse e blu che la leggenda attribuisce a Michelangelo. Un vivace mix di colori per la gioia di milioni di turisti che grazie alla loro disponibilità scattano ogni giorno migliaia di foto ricordo. Quelle tinte non sono soltanto un piacevole effetto cromatico, ma anche una testimonianza della storia: erano, infatti, i colori presenti negli stemmi di due fra le famiglie più potenti del tempo, i della Rovere, cui apparteneva Giulio II, e i Medici, da cui discendeva Clemente VII. Lo stemma di Giulio II, una quercia, è ripreso anche sull’elmetto d’argento, ornato con piume di struzzo di diverso colore a seconda del grado del militare. Il copricapo, insieme al pettorale di una corazza del XVII secolo, viene indossato per le cerimonie più importanti. Naturalmente i soldati hanno anche divise più comode, da lavoro: pantaloni e casacca blu e basco nero.
Antiche simbologie e continui adattamenti alla contemporaneità, hanno fatto correggere e rivedere le uniformi. Quelle attuali sono il frutto di un lungo lavoro del Comandante Jules Repond che nel 1915, dopo un’approfondita ricostruzione storica, sottopose all’approvazione di Benedetto XV le nuove divise, realizzate riprendendo lo stile del XVI secolo: “quello i cui caratteri essenziali possono essere attribuiti, in buona parte, a Raffaello”. Si tratta, insomma, di autentiche, piccole ed originali opere d’arte di sartoria, nelle quali si riconosce lo stile Rinascimentale.
Il colonnello Repond ripristinò anche l’uso delle alabarde, considerate, più che uno strumento di difesa, un elemento da “costume d’Opera”, come già le definì a metà ’800 lo scrittore francese Adolphe Taine. Per la protezione del Papa, durante le udienze generali, le Guardie Svizzere si limitano a portare in tasca bombolette spray con sostanze lacrimogene. Mistra e pistole, anche se in dotazione del Corpo, non vengono mai esibite. E’ un esercito armato che non deve usare le sue armi, così come disse un giorno Pio X: “Il nostro cannone deve rimanere al suo posto, in cantina, poiché il Vaticano non verrà difeso con i cannoni”.
Però anche le Guardie Svizzere hanno conosciuto giorni di combattimento. Era il 6 maggio 1527, il papa era Clemente VIII e l’esercito di Carlo di Borbone – 12 mila uomini perlopiù Lanzichenecchi – entrò in Roma devastandola: un evento passato alla storia come il “Sacco di Roma”. Le guardie svizzere erano 147, compreso il Comandante, e resistettero per ore per consentire al Papa e ai Cardinali di mettersi in salvo a Castel Sant’Angelo attraverso il Passetto, quel camminamento che collega San Pietro al Castello e che resiste tuttora al correre del tempo. Le Guardie Svizzere morirono quasi tutte: l’ultima a cadere fu la moglie del comandante Gaspar Roust, uccisa sul cadavere del marito.
Non è facile diventare una Guardia Svizzera. Oggi il reggimento conta 110 uomini e per potersi arruolare bisogna essere alti almeno un metro e 74 centimetri, essere cittadini svizzeri ed aver servito in quell’Esercito, avere un titolo di scuola media superiore e superato alcuni test fisici e psicologici. È cambiata la legge che permetteva solo agli ufficiali di prender moglie. Oggi basta avere compiuto 25 anni, aver almeno raggiunto il grado di caporale, svolto 3 anni di servizio ed impegnarsi a rinnovare la ferma per altri 3. Requisito indispensabile è ovviamente la fede cattolica, che deve essere rigorosamente osservata. Lo stipendio iniziale è di circa 1.500 euro al mese, ai quali si aggiungono però vitto e alloggio.
Ogni giorno due terzi del personale è impegnato a montare la guardia agli ingressi esterni e in alcuni dei palazzi, nei punti nevralgici e sensibili della Città del Vaticano. E come tutti i soldati curano la forma fisica, si allenano, si sfidano nelle arti marziali, fanno esercizi con le armi di ordinanza, governano tutte le moderne tecnologie militari. Disciplina e senso estetico. Devono riuscire ad essere solenni e flessuosi al tempo stesso, a camminare sui marmi lucidi dei palazzi apostolici dando l’impressione di scivolare, quasi fossero dai ballerini somiglianti a Michael Jackson. “La prima cosa che diciamo alle reclute – affermano i comandanti – è che entrano in un mondo militare, con regole da rispettare. Perché chi sceglie di diventare Guardia Svizzera deve sempre tenere ben presente di quale istituzione entra a far parte”.
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