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Pellegrini felici nella bellezza
di Paolo Viana
Il Giubileo è dedicato ai pellegrini di speranza, quindi a tutti, ma ci sono alcuni luoghi di Roma che più di altri rappresentano la cultura del pellegrinaggio religioso.
Uno di questi è il Santuario del Divino Amore, sulla via Ardeatina, a 12 km da un’altra pietra miliare della cristianità che è il santuario del Domine quo vadis? I romani si recano in pellegrinaggio al Divino Amore fin dal 1740, allorquando un pellegrino inseguito da cani invocò la Madonna dipinta sulla torre di Castel di Levae si salvò. Inizia da qui uno dei pellegrinaggi che può fare chiunque in quest’anno giubilare e che, in realtà, fa chiunque visiti la capitale, spesso senza rendersene neppure conto. È il pellegrinaggio delle madonnelle, che sono le icone mariane conservate nelle edicole dei palazzi che trovate lungo le vie di Roma. Il culto di Maria è centrale in questo Giubileo, ma questa devozione è centrale anche nella storia di Roma. Non solo perché Santa Maria Maggiore, sull’Esquilino, è il più antico santuario mariano della Città Eterna e dell’intero Occidente, ma perché la devozione per Maria accompagna tutta la storia cristiana della città. Anche recente: l’icona bizantina conservata al Divino Amore, ad esempio, fu testimone di un voto di protezione fatto dal popolo romano nel 1944 durante la seconda guerra mondiale, per il quale Maria intercedette evitando distruzioni delle città italiane. Del resto, basta passeggiare e guardarsi intorno.
Le immagini della madre di Gesù tempestano l’Urbe. Non le trovate sui muri del centro storico per un puro caso. I primi cristiani–come ricorda Stefania Falasca che ha dedicato alle memorie storiche del Giubileo un ciclo di articoli su Avvenire–le usavano per metter sotto la tutela della Madre di Dio la città degli Apostoli e dei martiri. Le prime furono poste sulle mura e alle porte della città, quindi arrivarono sulle facciate degli edifici. La prima fu l’icona bizantina della Salus Populi Romani, custodita a Santa Maria Maggiore, che venne portata in processione fino a San Pietro per implorare la cessazione della peste. Funzionò. E sulle facciate delle case apparvero da allora edicole che riproducevano l’immagine della Salus Populi Romani. Anticamente le madonnelle erano tremila, ora sono circa seicento. Da quella che potete ammirare sulla facciata di un palazzo di piazza della Rotonda, annunciata dall’epigrafe latina “Tota pulchra es, amica mea” ovvero “sei tutta bella, amica mia” alla Madonna con il Bambino di Via Santissimi Quattro nel rione Monti che promette: «Ilsorriso di Maria/ questi luoghi allieterà/ se chi passa per la via/ salve o Madre a lei dirà». Le madonnelle abitano i quartieri popolari di una volta–Trastevere, da dove prese le mosse questa devozione, e poi Monti, Campitelli, Trevi, Sant’Eustachio, Pigna, Parione, Campo Marzio…–e per secoli sono state addobbate di ex voto e lumini che rischiaravano la via, quando non vi era ancora l’elettricità. Oggi, sono considerate solo un elemento dell’arredo urbano, oppure sono state trasferite all’interno di chiese e santuari, ma anche questo non è stato casuale. Si potrebbe dire, anzi, che quelle icone hanno fatto un upgrade. È il caso della Madonna della Consolazione, che campeggiava su un muro del Campidoglio, ai piedi della rupe Tarpea, dove anticamente avevano luogo le esecuzioni capitali. La miracolosa sopravvivenza di un condannato innocente creò nella popolazione un tale culto per “Santa Maria della Consolazione” che papa Sisto IV non poté far altro che destinarle l’omonima chiesa. Un altro caso storico, che ogni pellegrino dovrebbe conoscere: nel quartiere Parione, operava nel Cinquecento san Filippo Neri, che provava una grande devozione per la Madonna.
Ebbene, volle la Chiesa Nuova, Santa Maria in Vallicella dell’Oratorio dei Filippini, proprio per accogliere una effigie miracolosa che si trovava sul muro di una vecchia casa di via della Stufa. Spesso Filippo si trovava assorto in preghiera davanti a queste edicole sacre. Vicino a San Girolamo della Carità, c’è ancora una Madonnella che ritrae il santo in preghiera davanti a una di queste immagini di strada. Un’immagine che faceva parte della quotidianità di tutti i romani, come testimonia un dipinto di Caravaggio, la Madonna dei Pellegrini che oggi si ammira nella basilica di Sant’Agostino, ma che si è persa nel tempo, anche a causa della ristrutturazione urbanistica che fece spostare molte edicole. Quando, oggi, troviamo queste icone in una chiesa, dunque, lo dobbiamo alla fede popolare che le ha volute lì, allo scopo di mettere la città sotto la protezione mariana. È il sentimento con cui nascono la Madonna del Pianto, Santa Maria ai Monti, la Madonna della Trinità dei Pellegrini, Santa Maria dell’Orazione, la Madonna della Scala… In alcuni casi, a quei dipinti si legano episodi miracolosi-è il caso della Madonna dell’Archetto, la cui cappella è il più piccolo santuario mariano di Roma. Andare alla scoperta delle Madonnelle significa dunque riscoprire la città rinascimentale. Il Giubileo è anche un’occasione di pellegrinaggio culturale e il cammino in una città come Roma è segnato non da secoli, bensì da millenni. Colosseo, San Pietro, il Tevere, il Ghetto ebraico: esiste un luogo per ogni epoca e per ogni significato. Non serve neppure cercarli. Si è, dentro la Storia.
Il Giubileo è una imperdibile occasione per assaporarla ed è per questo che il Paese ha investito quasi due miliardi–compresi i fondi del Pnrr–sulla riqualificazione urbana e sui progetti volti a rafforzare «la vocazione di Roma, centro del Giubileo, quale città accogliente, sostenibile ed inclusiva» come ricorda l’amministrazione capitolina, saldando il valore turistico e culturale dell’evento a quello sociale di una capitale che deve la propria fortuna anche e soprattutto alla capacità di accogliere qualsiasi popolo e qualsiasi cultura, restando se stessa. È successo, in fin dei conti, anche con l’arte cristiana, spesso germogliata sulle fondamenta dei templi pagani. Ai piedi dei monti Parioli si erge la grande moschea, che è grande di nome e di fatto, giacché si tratta della maggiore d’Europa. È aperta ai visitatori in alcuni giorni, esattamente come il Tempio maggiore, che è la principale sinagoga del Paese. Se vale il principio della città aperta a tutti, sono anche queste tappe importanti per i pellegrini, dopo aver attraversato la Porta Santa e aver visitato la basilica laterana o San Lorenzo, che è per sempre legata all’immagine di papa Pio XII con le braccia spalancate, subito dopo il bombardamento del quartiere popolare, nel ’43…Il Giubileo della cultura, cui la Chiesa dedica un apposito programma religioso fatto di convegni ed eventi, è dunque una realtà inevitabile in una città come questa, dove fede e cultura sono intrecciate in maniera indissolubile. Senza che neanche vi sia bisogno di un programma ufficiale (quello giubilare elenca gli incontri di fede cui parteciperanno i pellegrini diretti alla porta santa e non un cartellone di spettacoli ed eventi, che tuttavia diverranno per iniziativa di imprese e associazioni un corollario imponente di questa kermesse lunga un anno), il turista viene conquistato in modo spontaneo dal tema del Giubileo-pellegrini di speranza-perché è il mood di duemila anni: non si riesce a visitare Roma con il distacco dello scienziato, cioè senza compiere al tempo stesso un pellegrinaggio che cambia la persona, attraverso memorie e sensazioni. Le stesse che ispirarono i grandi della letteratura in visita alla Città Eterna–Keats, Shelley, Byron, Goethe–o che stregarono quelli che la scelsero come dimora, anche solo momentanea, e ogni giorno si sedevano all’Antico Caffè Greco, come Joyce, Leopardi, Liszt, Gounod, Stendhal, Heine, Wagner, Schopenhauer, D’Annunzio. In fondo, il Giubileo è un’occasione di ritorno al Bello. Perché, come scriveva già Orazio, “tu non potresti vedere nulla maggior di Roma”.
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