Un mare di idee per il tuo viaggio
di Francesco Condoluci
Fare delle sue materie prime una leva per esportare la pasticceria isolana nel mondo e creare lavoro, rispettando cultura e sostenibilità: Fiasconaro ci racconta come è diventato un pasticciere celebrato in ogni continente e svela la sua ultima sfida, far diventare Castelbuono una città creativa Unesco per la gastronomia
Raccontami, Nicola. Raccontami di quand’eri solo un bambino che sgambettava davanti al bar di tuo papà Mario, il “bar Fiasconaro” di Piazza Margherita a Castelbuono – Castiḍḍubbonu come lo chiamate lassù, nel cuore delle Madonie palermitane, dove pure nei nomi il destino pare che ci mette lo zampino – e andavi avanti e indietro tra casa e bottega per guardare incantato quelle leccornie che ammiccavano languide dalle vetrine. Erano gli anni ’60 e Mario Fiasconaro, in quel piccolo borgo medievale arrampicato sulla montagna come un presepe e con una fontana di pietra antica al centro dell’abitato, dal Nord Italia ci faceva arrivare pure quei panettoni che, al tempo, da Roma in giù non sapeva fare nessuno.
Raccontami, Nicola. Di come, a guardarli plasmare da mani sapienti, ti sei innamorato delle cassatine e della frutta di martorana e dei buccellati, i “cosi duci” (le cose dolci) che raccontano Palermo come e più di mille libri di storia. E raccontami di come, già ragazzo con la barba spuntata e le mani che ti prudevano per la voglia di fare, t’è venuto il capriccio d’andartene su, fino a Chioggia, a vedere il maestro lievitista Teresio Busnelli maneggiare con arte antica quella magica pallina d’acqua e farina che chiamano “lievito madre”. Fu lì che avesti l’intuizione geniale di farla diventare l’ingrediente base della creazione che molti anni dopo ti avrebbe consacrato come uno dei più famosi pasticcieri siciliani nei cinque continenti: il panettone. Il primo Born in Sicily. Miracolo della fantasia e dell’ingegno: un siciliano verace che, folgorato dal lievito madre, s’inventa finissimo demiurgo d’una versione tutta sicula del più classico dei dolci milanesi. Raccontami, Nicola, di come ti venne in mente di produrne uno tutto vostro, nel retrobottega del bar Fiasconaro. Usando quel ben di Dio che la natura ha sparso a piene mani nella tua isola: le arance del triangolo d’oro catanese Lentini-Carlentini-Franconte, le mandorle di Avola, l’uvetta aromatizzata al vino Marsala, i pistacchi di Bronte.
Quante volte me l’hai raccontata questa storia, Nicola. E io tutte le volte lì, ad ascoltare estasiato. Come adesso. «Era la fine degli anni 80 – mi racconti con l’entusiasmo contagioso di sempre – papà mi volle dare fiducia, così da pionieri iniziammo a realizzare in Sicilia i primi panettoni lievitati in modo naturale, un processo lentissimo di fermentazione che ha origine dalla pasta madre, e dura ben 36 ore. I “mannetti” con la manna estratta dai frassini. E il “madonita” con le nocciole. All’inizio le vendevamo solo in provincia di Palermo, ma dopo 5 anni praticamente producevamo in prevalenza panettoni». Da lì, tu, novello Archimede, tuo conterraneo dei secoli che furono, hai usato il lievito madre per sollevare e rivoltare il mondo (della pasticceria). Al punto che nel 2009 proprio tu, Nicola Fiasconaro da Castelbuono, venisti chiamato ad inaugurare, al fianco dell’allora ministro dell’Agricoltura, il veneto Luca Zaia, la fiera dell’enogastronomia nazionale Tuttofood a Milano affettando un tuo panettone da 65 kg naturalmente “born in Sicily”. Fu quella la tua consacrazione. «Sì», ammetti ma ricordi che già l’anno prima, il tuo panettone era finito addirittura nello spazio, scelto in virtù delle sue caratteristiche dagli specialisti della Nasa (tra più di cento pasticcerie italiane) per far parte della scorta di viveri a disposizione degli astronauti durante la missione in orbita dello Shuttle Discovery.
Nel frattempo, giù a Castelbuono, le cose avevano cominciato a cambiare. L’Extra Bar dei Fiasconaro, con la sua tipica pasticceria isolana, continua a essere – ancora oggi – una sorta di monumento nazionale nella centralissima Piazza Margherita. Ma attorno all’attività di papà Mario, Nicola e i suoi fratelli Fausto e Martino hanno costruito una realtà produttiva oggi diventata di respiro internazionale che nel suo logo però mantiene la fontana di pietra del paese e che investe sulla ricerca collaborando con le università per confezionare prodotti da forno sicuri, naturali e genuini con ingredienti siciliani. «Usiamo solo prodotti che si trovano in natura e bandiamo la chimica» me lo ripeti tutte le volte, «siamo pasticceri, non siamo l’industria». E poi con gli occhi vivaci che pare gli brilli dentro tutto il firmamento, passi ad elencarmi in rassegna il caleidoscopio di prelibatezze che il Padreterno ha dato in dote alla Sicilia: «A Messina abbiamo i cannoli, pensa che si facevano già ai tempi dei romani, pasta delicata ripiena di ricotta e di canditi – mi spieghi – a Caltanissetta i torroni. Della frutta martorana che si fa un po’ ovunque e che richiede tanta arte e tanta pazienza, sai già. A Modica, oltre al cioccolato, si fanno ‘mpanatigghi, biscotti ripieni impanati che risalgono alla dominazione spagnola, e ad Agrigento i nucatoli dalla caratteristica forma a “S”. A Palazzolo Acreide conosco una pasticceria che fa delle scorze di arancia candite al cioccolato che si sciolgono in bocca…». Sì, Nicola, lo immagino, ma adesso raccontami di quando hai incontrato i papi, Wojtyla, Ratzinger e buon ultimo papa Francesco, per donare loro un tuo panettone o di quella volta che regalasti a Bruce Springsteen, sì “the Boss” in persona, una chitarra in cioccolato di Modica IGP, identica alla sua Fender Telecaster. Oppure raccontami di come è nata l’idea di fare una linea di panettoni con Dolce&Gabbana che ti ha portato a vendere i tuoi panettoni fino in Qatar, per non parlare della Cina. Niente, scuoti la testa. Sono medaglie che già hai al petto. Ma cosa avrà mai in testa questo siciliano testardo e geniale, dopo essere riuscito a far parlare di sé mezzo mondo? «Vedi, il mio orgoglio più grande – s’inorgoglisce davvero – è quello d’aver costruito un’azienda che dà lavoro a 100 giovani siciliani e che valorizza il nostro patrimonio agroalimentare, la nostra isola.
Siamo riusciti a creare una filiera completa, abbiamo laboratori che lavorano per noi fornendoci materie prime come uova, mandorle, pistacchi, manna, aromi di agrumi, vini dolci Marsala e Zibibbo. Una rete che andrebbe allargata a tutta la Sicilia». Sì, perché avrà anche conquistato lo spazio, ma la sua terra resta il vero pallino di Nicola Fiasconaro. Che adesso s’è messo in testa di fare un’altra cosa pazzesca: far diventare il suo borgo, Castelbuono – dove tutto è nato e tutto deve tornare – una città creativa Unesco per la gastronomia. La candidatura è pronta, a metà marzo uscirà il bando e Nicola è già proiettato con l’impeto e l’energia di sempre verso questa nuova sfida. «Castelbuono con le sue produzioni tipiche e le sue antiche tradizioni gastronomiche reinventate nella modernità, può e deve diventare il simbolo del gusto e della sostenibilità alimentare che portiamo avanti da sempre come una bandiera», dice come fosse un proclama. E noi non possiamo che credergli. Nicola e quel sogno fatto in Sicilia, insomma, promettono altri compimenti.
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Foto credit Archivio Fiasconaro